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I RITUALI CHE CI AIUTANO A CAMBIARE

Quando un paziente che soffre di insonnia viene da me, una delle prime domande che faccio è se sta usando il letto per qualsiasi attività diversa dal sesso o dal sonno. In caso contrario, raccomando di spostare le attività più dinamiche in qualche altro luogo. Lo faccio perché per prepararsi al sonno, è importante associare il letto, a un livello molto primordiale, con il sonno. Altrimenti sdraiarsi e dormire può diventare difficile. Il corpo e la mente si sincronizzano automaticamente ai ritmi, attività, e luoghi che fanno parte della nostra routine. Ora che in pandemia la camera da letto o il soggiorno sono diventarti “ufficio,” è quindi difficile spostare l’attenzione e la forza di volontà sul lavoro. Come possiamo aspettarci di essere produttivi e vigili quando lavoriamo in un ufficio di fortuna che spesso è nostra camera da letto? In risposta all’attuale turbamento, molti esperti suggeriscono di stabilire una routine, di fare ginnastica e di mantenere i contatti con gli altri. Ma questi suggerimenti molto sensati spesso non vanno molto lontano.

Uno dei motivi per cui molti di noi hanno problemi di produttività nei nostri uffici domestici di fortuna è che, oltre allo shock, alla paura e alla confusione che la pandemia ha causato, la quarantena ha anche sconvolto le nostre abitudini e esperienze sensoriali. I nostri posti di ancoraggio in giro per la città e gli uffici, quelli che ci inducono a lavorare, socializzare, rilassarci e fare ginnastica, quelli che ci sostengono, motivano ed energizzano, non sono disponibili. Il più delle volte, a meno che non ci avventuriamo a fare una breve passeggiata, a fare la spesa, o a guardare qualunque paesaggio abbiamo fuori dalla nostra finestra, ci troviamo immersi nelle solite esperienze sensoriali della nostra casa, con le stesse persone e con gli stessi animali domestici (o con la mancanza di tutto ciò), giorno dopo giorno. Come molte persone mi dicono, tutti i giorni sembrano uguali.

Con la quarantena, ci manca anche il viaggio, quel rituale di transizione con la sua dimensione spazio temporale e sensoriale che ci consente di spostarci e adattarci a diverse attività e stati mentali. In isolamento, potremmo ancora allenarci, fare psicoterapia e lavorare in remoto, ma la nostra ricca esperienza sensoriale è notevolmente diminuita. Il nostro attuale “andare” spesso non è altro che fare alcuni passi. I nostri viaggi pre-pandemia avevano dimensioni tattili, uditive, olfattive e visive che ci ancoravano e ci preparavano psicologicamente a passare da un’attività all’altra.

Facciamo l’esempio della psicoterapia. Come dicono i miei pazienti in questi giorni, la teleterapia sta funzionando bene per loro. Ma se premo ulteriormente, mi dicono anche che manca qualcosa e molti preferirebbero venire di persona. Il mio ufficio, è un luogo neutrale e accogliente che è separato dalle loro esperienze quotidiane. Ma la terapia, dicono, non si limita solo le nostre conversazioni. Oltre ai 45 minuti che trascorrono con me, la terapia inizia durante il viaggio verso il mio ufficio, quando pensano a ciò di cui vorrebbero parlare. Se non sono di fretta, a un certo punto, prima o dopo, si fermano in un posto a prendere un caffè e pensare al nostro lavoro o fanno delle commissioni nei negozi vicini, che sono comunque infusi dall’esperienza della terapia. La terapia è una rete di attività ed esperienze, di cui il mio ufficio non è che il centro. Dopo la terapia, il viaggio successivo aiuta a chiudere la parte più profonda e vulnerabile di sé stessi e prepararsi all’attività successiva.

Ora che gran parte di questa ricca dimensione spazio-temporale è sparita, stiamo cercando di designare parte delle nostre case (o auto) a “ufficio” o “palestra.” Possiamo anche indossare gli abiti d’ufficio e provare a continuare il lavoro come al solito, ma quei paletti immaginari che delineano il nostro nuovo spazio di lavoro sono continuamente oltrepassati dagli oggetti familiari che ci circondano, dai nostri figli e animali domestici e dagli odori che arrivano dalla cucina. Questo non vuol dire che la nuova situazione non abbia dei vantaggi. Alcuni di noi hanno scoperto quanto possa essere bello e accogliente lavorare da casa e perfino temono il ritorno in ufficio. Ma spesso da casa la motivazione, concentrazione ed energia non è la stessa. Inoltre, lavorare su Zoom e telefono tutto il giorno, senza un feedback corporale continuo, fa crescere dubbi sulla propria performance e fa crescere le incertezze sulle procedure da seguire. Ci sono poi persone che invece sono estremamente concentrate sul lavoro in remoto. Ma senza l’aiuto della struttura dell’ufficio, fanno fatica a prendersi delle pause e non riescono a fermarsi.

È imperativo riconoscere l’impatto che queste perdite sensoriali e spazio-temporali stanno avendo su di noi e trovare modi che offrano un “collegamento” a quella parte del nostro sé a cui non siamo in grado di accedere così bene. Suggerisco che un focus sul rituale possa aiutarci psicologicamente ad agevolare la transizione da un’attività all’altra. Ad esempio, per i pazienti che hanno difficoltà ad inserirsi nella modalità di lavoro in remoto, suggerisco di reinventare a casa alcune delle pratiche che prima facevano parte del loro tragitto in ufficio. Possono ancora concedersi un po’ di movimento e quei venti minuti di Kindle, Audible o notizie che in tempi normali li aiutavano ad entrare in modalità di lavoro, anche se non sono più seduti in macchina o metropolitana. Inoltre, se passare dalla psicoterapia con Zoom a una riunione di lavoro con Zoom risulta difficile, suggerisco di ricreare una versione della vecchia routine di viaggio verso/dall’ufficio o qualcosa di nuovo.

Noi esseri umani siamo adattabili, quindi troveremo un modo per ambientarci alle nuove circostanze. Ma nell’immediato, sarebbe utile creare intenzionalmente dei rituali.

Un avvertimento: non tutte, ma molte persone che hanno i loro programmi ottimizzati e sono in grado di diversificare e mescolare le loro attività sociali, ricreative, sportive ed extracurricolari anche in pandemia, continuano a segnalare un alto tasso di insoddisfazione: il senso di perdita comunque rimane. Noi newyorkesi più di altri, abbiamo accettato il compromesso di vivere in spazi angusti e spesso sgradevoli in cambio dell’ispirazione e dell’energia che questa città offre e accoglie. Il senso di una vita ben spesa include l’essere fuori di casa e vivere la città.

Tra i rituali che si sono sviluppati in Pandemia c’è la vestizione con mascherina e i guanti prima di uscire, il lavaggio delle mani ogni volta che torniamo, e il disinfettare la spesa. Queste nuove consuetudini hanno una funzione pratica, ma hanno anche una componente ritualistica. Aiutano a dissipare la paura della morte e del contagio. Segnano il confine tra l’interno e l’esterno della nostra casa, ristabilendo un senso di sicurezza e controllo. Ci aiutano a riassopire il terrore della morte e della nostra fragilità. Dopo tutto, i chirurghi si lavano le mani prima e dopo l’intervento chirurgico per lo stesso motivo — perché, oltre allo scopo pratico, è un rituale che dà loro un senso di potere e controllo. Lo spazio liminale di acqua e sapone aiuta anche a entrare in uno stato mentale che consente di operare trascendendo dubbi e paure.

Il rituale degli applausi di ringraziamento al personale ospedaliero ci unisce alle 19:00. La rivista Time Out riporta che questo rituale è stato avviato dall’agenzia internazionale di pubbliche relazioni Karla Otto. [1] La rivista non dice se l’ha sponsorizzato qualcuno. Con fervore quasi devozionale, ci sporgiamo dalle finestre e applaudiamo, suoniamo campane, suoniamo tamburelli e ululiamo come lupi affamati alla luna piena. Per un istante, lasciamo il mondo privato ed entriamo in uno spazio pubblico dove esprimiamo la nostra insofferenza, frustrazione, irrequietezza ed energia repressa, e anche la nostra gratitudine per gli operatori sanitari. Questo rituale ci aiuta a marcare i giorni che passano. Ci unisce, attraverso i suoni e la voce e attraverso la nostra presenza corporea condivisa. In quei cinque minuti, ci lasciamo andare ad uno sfogo, per poi tornare mansueti nei nostri micro appartamenti, pronti a riprendere un’altra serata di quarantena. Altri rituali che hanno preso piede sono l’improvvisa produzione di pane e altre specialità, il giardinaggio, e la cura di barbe da pandemia. Sperimentiamo nuovi modi di essere che sono meno mediati dal consumismo, durante questo periodo di isolamento.

La quarantena della pandemia non è un vero e proprio rito di passaggio. Non esiste un modello prescritto che indichi come procedere o cosa diventeremo. Tuttavia, scegliere di vedere la pandemia come un rito di passaggio può aiutarci a sfruttarla al meglio. Se siamo abbastanza fortunati e privilegiati da essere in buona salute e non presi dalla disperazione finanziaria, forse abbiamo un po’ di spazio mentale che ci consente di fare uno sforzo cosciente e formulare un intento su come vogliamo trasformarci durante questo periodo di isolamento liminale. Possiamo creare rituali e abitudini che ci pongono su una nuova strada. Il rituale non ripristina lo status quo, ma apre uno spazio per il cambiamento. Come ha scritto l’antropologo Victor Turner ne La foresta dei simboli, “Il rituale è trasformativo, la cerimonia è confermativa”. [2]

Possiamo usare questo momento di isolamento per far vagare le nostre menti e immaginare come cambiare come individui, e come trasformare luoghi di lavoro, famiglia e società. Le camice di forza socio-economiche che ci legano alla nostra posizione particolare nella società saranno ancora presenti dopo la pandemia. In effetti, siamo fortunati se è così, perché l’alternativa è quella di aver perso il lavoro e vagare nell’incertezza profonda. Ma ci stiamo anche liberando da molte delle abitudini ripetitive che hanno contribuito alla nostra inerzia e miopia. Mentre prendiamo coscienza della nostra fragilità e finalità, stiamo anche mettendo in discussione i nostri vecchi modi di essere. Molte persone mi dicono che vogliono avere una vita diversa da quella che avevano prima della pandemia. Ad esempio, a molti non manca tanto la vita notturna, il consumismo, la superficialità, la quotidiana corsa al successo. Molti non torneranno ai loro rituali mattutini di bevande costose e di marca, che ritenevano necessarie per svegliarsi e affrontare la giornata. Molte persone si sentono molto più umili e mostrano meno interesse alle apparenze, ad eccellere nel confronto con gli altri, e dominare.

A livello istituzionale, nel mio istituto psicoanalitico classico, vedo semi di cambiamento che solo una pandemia poteva portare. La filosofia, le presentazioni e il curriculum dell’istituto sono stati da sempre rigorosamente psicoanalitici (anche se, a livello individuale, i membri possono avere un approccio olistico). Eppure, da quando è iniziata la pandemia, vi sono offerte senza precedenti: una meditazione settimanale per membri e candidati e persino un seminario non psicoanalitico.

Sarà un cambiamento temporaneo o permanente? Saremo capaci di rigenerarci e trasformarci? Come possiamo lasciare andare l’egocentrismo, le rigidità e abitudini che non ci servono più? Questo periodo di isolamento può fornire lo spazio e il tempo per creare nuove abitudini, per cominciare a sentire e sentirci in un modo diverso, impostando un’intenzione per il futuro migliore, come se fosse già presente. Forse la premessa iniziale — come stabilire un rituale che ci renda più produttivi durante la quarantena — è troppo limitata. Forse dovremmo usare questo momento speciale per reinventare noi stessi e il nostro ambiente.

Note

[1] New Yorkers are planning a citywide clap for essential workers to happen every Friday Time Out by Shaye Weaver. Posted: Friday March 27 2020

[2] Victor Turner. The Forest of Symbols: Aspects of Ndembu Ritual. Cornell University Press 1986 (1967): 95

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Leide Porcu PhD LP
leideporcu@gmail.com
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“Dear New Yorkers, hope you are holding up OK. Hopefully the pandemic is at its tail end. It ia a joy for may of us to resume out daylyIt is nonetheless difficult to come back to office life and resume what was ”

I also want to let you know that I have finished my Book:

A Handbook of Proven Tools for Thriving in Transition between Cultures and Places

and now is looking for a new home. 

 

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